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Il nome tè, che tutti conosciamo, ha una storia piuttosto lunga e interessante e, soprattutto, è conosciuta da poche persone appassionate della bevanda.
Del resto, la tradizione millenaria che caratterizza questa bevanda, ormai diffusa e amata in tutto il mondo, giustifica ampiamente il fatto che anche il nome abbia una storia altrettanto interessate e che attualmente ve ne siano diversi a seconda del luogo del mondo in cui viene utilizzato.
L’origine del nome tè, nella sua versione cinese, prese avvio dal nome della pianta. Quella che per noi oggi è la Camellia Sinensis, nei tempi antichi era chiamata semplicemente t’u e con essa si indicavano anche le piante amare commestibili e nella lingua del luogo era indicata con il simbolo 荼.
Con il passare del tempo, questa parola si evolvette in chà, indicata con un simbolo leggermente diverso: 茶.Questa variazione, che riguardò prevalentemente la pronuncia, mentre il simbolo – appunto – rimase pressoché identico, avvenne già durante la dinastia Tang (618-907), che fu il periodo in cui iniziò la diffusione del tè al di fuori delle regioni di origine.
Per molti secoli rimase lo stesso nome, sebbene nelle varie province della Cina il tè sia chiamato in modo diverso, in base alle varianti locali di tipo dialettale.
A seconda della zona e del dialetto corrispondente, il nome tè in cinese ha una pronuncia diversa.
Nella provincia del Fujian, dove il dialetto è l’Amoy, si pronuncia tai. Anche all’interno della stessa provincia, però, si possono trovare pronunce diverse: nella città di Fozhou si dice tà, mentre nella città di Xiamen si dice tè;
Nella provincia di Guandong si chiama chà oppure tè;
Nel nord della Cina, si trovano diverse pronunce che variano da chai a zhou e chà.
Il nome tè, nelle diverse lingue, trae le sue origini dalle due varianti cinesi chà e tè o tey.
A partire dal sedicesimo secolo, e ancor più dal diciassettesimo, iniziarono i traffici di tè verso l’Europa. Con la Compagnia Olandese delle Indie Orientali iniziò una vera e propria importazione. L’area da cui partivano le navi cariche di foglie di tè era quella della provincia di Fujian, dove appunto la pronuncia era molto simile al nostro tè.
Nella maggior parte dei paesi europei, dunque, assunse una grafia che corrispondeva alla traslitterazione della pronuncia tai, ta o tè:
In tedesco si scrive tee;
In spagnolo e in italiano tè;
In inglese tea;
In francese thé;
In danese, in norvegese e in svedese te;
In olandese thee;
In filandese teetä;
Fa eccezione, invece, il portoghese, lingua nella quale tè si dice chá. Anche in questo caso, però, esiste una spiegazione logica: nel sedicesimo secolo, il Portogallo aveva un porto commerciale nella città di Macao, nel sud est della Cina.
Da quest’area avvennero i primi traffici di tè con la madre patria. Poiché in quest’area il tè era chiamato cha, fa questa variante dialettale a entrare nella lingua portoghese.
La radice cha ha condizionato anche altre lingue come il giapponese ( お茶 ocha), il russo (чай chay), il punjabi (ਚਾਹ cāha), il serbo (чај čaj), l’hindi (चाय chaay), il coreano (차 cha), etc.
Tè è una di quelle parole della lingua italiana la cui grafia spesso viene scritta in modo scorretto. A differenza di ciò che avveniva con i dialetti cinesi, in italiano la pronuncia è sempre la stessa, quello che erroneamente può cambiare è, appunto, la grafia.
Talvolta, infatti, l’influenza di altre lingue porta a utilizzare caratteri e lettere sbagliate, magari aggiungendo una h o perdendo l’accento per strada.
L’unica versione corretta è tè, con l’accento grave, e si usa per indicare la pianta così come la bevanda.
L’accento è indispensabile per distinguerla dal pronome personale di seconda persona te. In genere, infatti, i monosillabi in italiano sono atoni. L’accento viene utilizzato solo quando esistono due omofoni, ovvero delle parole con la stessa grafia, ma con significato e funzione diversa. In tal caso, l’accento serve proprio a distinguerle. Ciò avviene per esempio con dà, voce del verbo dare, che si differenzia dalla preposizione semplice da. Oppure son sé, pronome personale di terza persona, che si differenzia da se, congiunzione di valore ipotetico.
La h non c’è nella parola italiana, mentre la versione corretta francese è thé: in questo caso, però è d’obbligo l’accento acuto. Sebbene alcuni dizionari riportino anche le voci the e thè come varianti arcaiche di tè e, di conseguenza, queste due grafie siano incluse nella normativa italiana sulle etichettature degli alimenti, va detto che la versione più corretta è proprio quella senza h, così come espressamente dichiarato dall’Accademia della Crusca.
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